Il dramma dei suicidi in Corea del Sud. La nostra analisi

In un Paese che preferisce nascondere goffamente le proprie debolezze anziché ammetterne l'esistenza, la Corea del Sud si trova di fronte a un problema che, nonostante la sua vasta portata, è raramente chiamato con il proprio nome: la Corea ha un grosso problema con i suicidi. 

Mentre persino le persone più famose scivolano nell'oscurità della disperazione, la società coreana sembra incepparsi nel tentativo di mantenere le apparenze e una fragile perfezione. Ma il grido di aiuto dietro questi atti estremi è diventato sempre più difficile da ignorare. Non si legge mai la parola "suicidio" sui giornali coreani. Lo avete notato? La Corea non sa di avere un problema con i suicidi oppure -cosa peggiore- lo sa e fa finta di niente.

suicidio Lee Sun-kyun

Negli ultimi tempi, la Corea del Sud ha assistito a un drammatico aumento del 230% nel tasso di suicidi, portando l'attenzione sulla crisi crescente che sembra colpire indiscriminatamente. L'ultimo triste capitolo di questa triste saga ha coinvolto l'acclamato attore Lee Sun-kyun, noto per il suo ruolo in "Parasite," film vincitore della Palma d'oro a Cannes e di 4 Oscar, tra cui quello di miglior film. La morte di Lee Sun-kyun, avvenuta nel contesto di un'indagine iniziata lo scorso ottobre sulla sua presunta connessione con la marijuana, ha messo in luce una lotta contro la droga che sembra ripercorrere i passi della vecchia e anacronistica "War on Drugs" degli Stati Uniti (ancora una volta la Corea del Sud scimmiotta gli Stati Uniti, di cosa ci meravigliamo?). Un disumano interrogatorio fiume di 19 ore, il terzo in due mesi, ha preceduto la sua tragica fine, sollevando domande sul metodo e sulla pressione esercitata su individui già fragili.


Ma il problema non si ferma qui. La società coreana sembra imprimere un rigoroso diktat di perfezione, richiedendo eccellenza e onore in ogni aspetto della vita. Il peso della vergogna e dello stigma sociale ha spinto molti a commettere atti estremi, Lee incluso. Il fenomeno della "macchina del fango" virtuale, alimentata dai netizen, ha contribuito ad amplificare la sofferenza delle vittime, un problema che va oltre il caso di Lee e si estende ad altre figure pubbliche e anonime.

Il presidente Yoon Suk Yeol ha dichiarato "guerra totale" agli stupefacenti, ma la stretta sulla cannabis sembra aver creato un terreno fertile per il proliferare di vergogna e disperazione. La dichiarazione di innocenza da parte di Lee Sun-kyun e la sua offerta di sottoporsi a test della verità sono state inutili contro la pressione sociale e mediatica. Il risultato è stato quello di diversi contratti saltati, la gogna mediatica e, alla fine, la tragica fine di un talento come pochi.

La Corea del Sud è attualmente il Paese dell'Ocse con il più alto tasso di suicidi. Nel periodo compreso tra il 2020 e il 2022, quasi 40mila persone hanno posto fine alle proprie vite, con oltre 7mila suicidi solo nei primi mesi di quest'anno. Le cause principali includono difficoltà economiche, le intense pressioni sulle prestazioni scolastiche dei giovani e la vergogna che circonda i problemi di salute mentale.

È giunto il momento per la società coreana di affrontare apertamente questa epidemia silenziosa, rompendo il ciclo di stigmatizzazione e pressione sociale che avvolge chiunque si trovi in difficoltà. Solo attraverso il dialogo aperto, la comprensione e il supporto, potranno essere create le condizioni per invertire questa pericolosa tendenza e restituire speranza a chi ne ha disperatamente bisogno. Dubitiamo che questo possa avvenire in tempi brevi: l'apparenza e l'ultracapitalismo sono fattori che contribuiscono direttamente a lasciare indietro coloro che non stanno al passo.

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